Articoli miei e riflessioni



PASQUA: tradizione consumistica

In realtà Gesù non era vegetariano, ma nel corso della sua ultima Pasqua ebraica è testimoniato che Gesù si trovava presso la tribù degli Esseni, una setta religiosa ebraica che non era usa al sacrificio dell'agnello al tempio e quindi al consumarne la carne. Inoltre quando Gesù arrivò a Gerusalemme e cacciò i mercanti dal tempio contestò platealmente l'usanza stanca e pagana della vendita e del sacrificio degni agnelli, affermando che "Dio non si compiace del sangue di innocenti". Con questa frase Gesù intendeva ribadire la priorità della preghiera sincera e devota in antitesi alla ritualità senz'anima e senza fede. Il massacro degni agnelli in occasione della PAsqua è un'eredità di cerimonie pagane ed ebraiche che nulla hanno a che fare con l'originale spirito cristiano. Il vero cristiano non dovrebbe adagiarsi su stanchi riti di cui si è perso e non si comprende il significato, ma testimoniare con la fede e con i propri comportamenti quotidiani la devozione alla parola di Dio che consiste, in prima istanza, nell'alleviare le sofferenze dei bisognosi, dei sofferenti e dei più deboli. Non è sacrificando o sgozzando un animale innocente che si testimonia la propria fede, la devozione a Dio o che si testimonia lo spirito cristiano.
Il rito del "sacrificio" dell'agnello e del mangiare le sue carni è diventato una mera tradizione consumistica e pagana , tipica della civiltà materialistica dei consumi e non della spiritualità e del misticisimo o della fede religiosa. Non è un caso che tutti i grandi uomini e donne spirituali e mistici della storia dell'umanità fossero, per scelta e per etica personale, vegetariani. Feuerbach affermava " noi siamo ciò che mangiamo" ed un profeta o l'incarnazione di Dio non avrebbe mai potuto cibarsi ed essere sofferenza di esseri innocenti.

C.D.M.







Liu Ding «A man fucking a chicken»

Paola Pivi, fotografia (le due zebre si ammalarono mortalmente per il clima rigido)
Opera di Cattelan

Copertina della rivista Abitare


SE QUESTA è ARTE

Dell’opera di questi e tanti altri  artisti non contesto l’idea “geniale” (che pure può essere riconosciuta in taluni casi), la decontestualizzazione situazionista, la provocazione spinta, contesto il fatto che, per raggiungere il risultato, che può essere ritenuto artisticamente “pregevole” – da alcuni anni nel mondo dell’arte pagano l’installazione e gli happening “forti”, shockanti, la provocazione mediatica-, si ricorra ad una scorciatoia che non ha nulla di etico. In questi casi, infatti, si sfrutta la sofferenza, la tortura o la morte di un essere senziente e vivente allo scopo di ottenere visibilità e successo (ingredienti determinanti per alzare le quotazioni economiche di un artista. 
Un artista, che dovrebbe essere un intellettuale appartenente al mondo della cultura con il ruolo di orientare la società e i cittadini, ha il dovere di comportamenti “alti” ed etici.
Torturare un essere vivente (animale o bambino che sia) rappresenta forse un atteggiamento  etico?
Macellare, squartare, torturare un animale seppur ammantato di “vocazione artistica”,  rappresenta forse un’operazione degna di un essere pensante, “superiore” e sensibile?
A mio avviso assolutamente no. Anzi, denota un egoismo , la visione di un mondo, che non va oltre il proprio ego  che è raccapricciante e repellente al pari di coloro che accumulano profitti sul lavoro o sulla sofferenza di altri esseri viventi (umani o “esseri” del Creato che siano). 
Questi pseudo artisti  meritano, per la loro grettittitudine mentale e pochezza umana e culturale, di essere ignorati e marginalizzati dal sistema dell’arte , dal mondo mass-mediatico e da tutte le persone intelligenti e sensibili che hanno una prospettiva e una visione “alta” del futuro e della convivenza pacifica sul pianeta.
Questi individui meritano, e non per ragioni dogmatiche o ideologiche, tutto il mio disprezzo.
Sarebbe auspicabile che i giornalisti, le gallerie, i critici e le riviste d’arte li ignorassero, o avessero il coraggio al meno di biasimarli non offrendo loro un podio per valorizzare e divulgare la propria crudeltà, insensibilità e ottusità.
E’ ora di smetterla con le scorciatoie per raggiungere il successo.
I giornalisti e gli artisti, tornino ad avere il senso dell’impegno, della fatica, della ricerca e della creatività (che non sempre sono a buon prezzo e acquistabili sugli scaffali dei supermercati dell’idiozia mediatica e collettiva).
C.D.M.







Padiglione Italia della 54a edizione della Biennale d'Arte di Venezia: tra innovazione e caos


Alla fine delle corderie dell'Arsenale ci si trova il tanto atteso Padiglione Italiano,ampliato in occasione del 150° dell’Unità d’Italia, curato da Vittorio Sgarbi e progettato dall’architetto Benedetta Tagliabue che ha voluto allestire lo spazio rendendolo simile all’atelier di un artista o la casa di un critico, quindi sostanzialmente disordinato, in cui diversi stili e linguaggi si accostano e mischiano fra loro.


Oltre 200 artisti frutto di 200 modi diversi di concepire l’arte selezionati dalle grandi personalità di prestigio internazionale, presenti con una o due opere a testa, per un totale di circa cinquecento opere.Una selezione volutamente non fatta da critici d’arte, in modo da proporre un percorso espositivo che esuli dal mondo delle gallerie e dal mercato, alimentando lo stretto rapporto tra le diverse arti. La scelta è coraggiosa, inusuale e titanica, ma è anche la più utile per avere una visione della produzione artistica, non forzatamente ed unicamente filtrata dal gusto personale del critico o del curatore. La creazione della rete sarebbe anche garanzia di una maggiore autenticità e motivazione nelle scelte, questo in particolare convince il pubblico. Un duro attacco, infatti, che Sgarbi ha mosso nei confronti di certe gallerie d’arte che decidono in base a mode o a gusti contestabili. Prada ha messo a Venezia “i grandi maestri”, ma che non sono “grandi maestri” per forza: sono quelli di cui tutti parlano. L’arte contemporanea, secondo Sgarbi , è in mano a Prada, Trussardi e Sozzani, case di moda. La sua Biennale, invece, include tutto ciò che c’è ora: il contemporaneo è questo, ciò che ora si può vedere, questa è la Biennale degli artisti, e nessuno che li ignora può chiamarli pittori della domenica solo perché non ne conosce il nome
Sono presenti artisti di valore come Maurizio Cattelan, Davide Coltro, Paolo Consorti, Enrico Lombardi, Giovanni Manfredini, Alessandro Papetti, Giovanni Frangi, Alessandra Giovannoni, Marco Petrus e tanti altri.

All’interno dell’Arsenale verrà esposto anche il Museo della Mafia, portato da Salemi a Venezia, che offre il leit-motif dell’esposizione: “L’Arte non è cosa nostra”. che riproduce integralmente il già esistente "Museo della Mafia" di Salemi con un allestimento a cui hanno lavorato Vittorio Sgarbi assieme a Cesare Inzerillo.

Sull’allestimento è stata mossa qualche critica dagli artisti presenti, in particolare da Pablo Echaurren che, a Padiglione neanche inaugurato, ha deciso di scrivere direttamente alla Direzione della Biennale di Venezia: «Presa visione dell’allestimento del Padiglione Italia, ritengo che i criteri adottati nel presentare al pubblico i lavori siano lesivi e offensivi della dignità degli artisti. Mi riferisco in particolare alle opere affastellate su vari livelli in altezza, secondo modalità che ne rendono impossibile la lettura. Per questo motivo ho deciso di ritirare la mia opera. Laddove questa operazione non fosse immediatamente realizzabile per questioni tecniche, chiedo che il mio quadro venga coperto con un telo affinché risulti del tutto invisibile». Una tale richiesta non avveniva dal 1968, quando fu Gastone Novelli, per protesta, a girare i suoi dipinti esposti al Padiglione italiano, rendendoli invisibili (Il giorno dell'inaugurazione decide, come molti altri artisti, di chiudere la sala in segno di protesta contro la presenza della polizia nei Giardini della Biennale. Scrive sul retro di una tela -tutte le opere sono voltate verso il muro-: "La Biennale è fascista").
C.D.M.

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